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Alla ricerca del paradiso (fiscale) perduto: Ecco la black list aggiornata

mappa dei paradisi fiscali

“Paradiso fiscale o rifugio fiscale viene comunemente detto uno Stato che garantisce un prelievo in termini di tasse basso o addirittura nullo sui depositi bancari. La ragione di una scelta del genere è più che altro politica: attirare molto capitale proveniente dai paesi esteri, fornendo in cambio una tassazione estremamente ridotta. Dal punto di vista del contribuente (…) il cosiddetto paradiso fiscale è in effetti un rifugio dalla tassazione sui redditi (…)” da Wikipedia.

Dopo due anni e mezzo di negoziati, dal primo gennaio del 2017 la Svizzera è uscita dalla lista nera italiana dei Paesi che non permettono uno scambio adeguato di informazioni. Fine del segreto bancario.

Tutta “colpa” del Common Reporting Standard, un accordo del 2014 che elimina il “segreto bancario” e promuove lo scambio di informazioni finanziarie fra i governi di 52 paesi (che diventeranno 92 entro il 2018).

Chi era in paradiso (fiscale) ha riportato subito in patria valigie piene di dobloni? Non proprio.

I grandi evasori hanno già deciso di volare lontano e le alternative alla Svizzera non mancano: dalle Isole Vergini alle Bermuda, Kenya, Cina, ma anche Olanda e Delaware. In Italia sette super Paperoni italiani possiedono il 30% della ricchezza nazionale e il 27% del denaro da destinare al fisco viaggia verso i paradisi fiscali.

Ma quali sono i paradisi fiscali nel 2017? Scopriamo insieme dove i ricchi nascondono e proteggono patrimoni, spesso, immensi. 

La black list dei paradisi fiscali

Per il 2016, l’Agenzia delle Entrate ha diramato la seguente black list di paradisi fiscali, riservata ai paesi con cui imprenditori e risparmiatori italiani non possono effettuare alcun tipo di transazione commerciale e finanziaria:

  • Alderney (Isole del Canale),
  • Andorra,
  • Anguilla,
  • Antille Olandesi,
  • Aruba,
  • Bahamas,
  • Barbados,
  • Barbuda,
  • Belize,
  • Bermuda,
  • Brunei,
  • Gibilterra,
  • Gibuti (ex Afar e Issas),
  • Grenada,
  • Guatemala,
  • Guernsey (Isole del Canale),
  • Herm (Isole del Canale),
  • Isola di Man,
  • Isole Cayman,
  • Isole Cook,
  • Isole Marshall,
  • Isole Turks e Caicos,
  • Isole Vergini britanniche,
  • Isole Vergini statunitensi,
  • Jersey (Isole del Canale),
  • Kiribati (ex Isole Gilbert),
  • Libano,
  • Liberia,
  • Liechtenstein,
  • Macao,
  • Maldive,
  • Montserrat,
  • Nauru,
  • Niue,
  • Nuova Caledonia,
  • Oman,
  • Polinesia francese,
  • Saint Kitts e Nevis,
  • Salomone,
  • Samoa,
  • Saint Lucia,
  • Saint Vincent e Grenadine,
  • Sant’Elena,
  • Sark (Isole del Canale),
  • Seychelles,
  • Tonga,
  • Tuvalu (ex Isole Ellice),
  • Vanuatu.

Questa black list, invece, riguarda quei Paesi che pur offrendo un quadro fiscale conveniente e la possibilità di usufruire del servizio bancario, grazie ad un più elevato standard del sistema sono soggetti ad alcune concessioni:

Bahrein, Emirati Arabi Uniti: possibilità di effettuare operazioni relative a esplorazione, estrazione e raffinazione nel settore petrolifero senza incorrere in sanzioni.
Monaco: non si hanno sanzioni se l’azienda con sede a Monaco con cui si fanno affari realizza almeno il 25% del fatturato fuori dal Principato.
Singapore: si possono fare operazioni con la Banca Centrale e con gli organismi che gestiscono anche le riserve ufficiali.

Altre risorse: Le innocenti evasioni delle multinazionali

Per questi Paesi le sanzioni si applicano solo su alcune attività:

Angola: operazioni con società petrolifere con esenzione dall’Oil Income Tax.
Antigua: operazioni con international buniness companies che operano fuori dal territorio.
Costarica: operazioni con società esercenti attività ad alta tecnologia o con proventi da fonti estere.
Dominica: operazioni con international companies che operano all’estero.
Ecuador: operazioni con società della Free Trade Zones.
Giamaica: operazioni con società che producono per esportare secondo l’Export Industry Encourage Act e per quelle nelle Free Zone Act.
Kenia: operazioni con società con sede operativa nelle Export Processing Zones.
Mauritius: operazioni con international companies, off shore companies e società con riduzioni sul Corporate Tax.
Panama: operazioni con società con proventi da fonti estere, società insediate nelle Colon Free Zone o nelle Export Processing Zone.
Portorico: operazioni con società bancarie o soggette al Puerto Rico Tax Incentives Act o al Puerto Rico Tourist Development Act.
Svizzera: operazioni con società che non pagano imposte cantonali e municipali.
Uruguay: operazioni con società bancarie e quelle che operano offshore.

Che cosa sono e come funzionano i paradisi fiscali

Sono tre i fattori che rendono un Paese un paradiso fiscale, tassazione bassa o nulla, nessun obbligo di trasparenza e segreto bancario, che possono essere presenti in diversi e, di conseguenza, prevedere anche diversi divieti e obblighi per chi ci opera. 
black list paradisi fiscali
Nel caso dell’Italia sono considerati paradisi fiscali tutti i Paesi la cui imposizioni fiscale è di almeno il 30% più bassa, e deve avere anche altre caratteristiche, nello specifico:

1. non prevedere obblighi di trasparenza;
2. non prevedere l’obbligo allo scambio di informazioni con altri Stati per fini fiscali;
3. non prevede che l’attività che vi si trova sia sostanziale, ovvero chi trasferisce qui la sua sede può apertamente farlo anche per fini esplicitamente fiscali.

Altre risorse: Scappo all’estero con la pensione

Paradisi fiscali le quattro categorie

I paradisi fiscali sono suddivisi in quattro differenti categorie in base al tipo di tassazione e agli obblighi di trasparenza:

1. Pure Tax Haven: paesi che non hanno alcuna imposizione fiscale o che prevedono solo delle tasse nominali; non scambiano informazioni a fisni fiscali e garantiscono il segreto bancario;

2. Taxation on Foreign Income: paesi che tassano solo il reddito prodotto internamente;

3. Low Taxation: in questi paesi esiste una modesta tassazione fiscale sul reddito ovunque questo venga generato;

4. Special Taxation: il regime fiscale di questi paesi è paragonabile a quello degli stati che non compaiono nelle blck list, ma hanno comunque una legislazione in materia fiscale piuttosto flessibile.

Altre risorse: Italiani tartassati

Come si fa a combattere contro i paradisi fiscali?

I paradisi fiscali sono solo la punta dell’iceberg di un problema molto più grande e complesso che si chiamo fisco, che invece di tutelare i più deboli, finisce per aumentare le diseguaglianze. Mentre ricchi individui e grandi corporation nascondono i propri “tesori” nei paradisi fiscali (sottraendo alla collettività la loro giusta quota di tasse), vi sono nel mondo ancora oggi almeno 400 milioni di persone che non hanno accesso a servizi sanitari pubblici di base ed uno bambino su cinque, nei Paesi ad alto reddito, non ha da mangiare.

Pensare di contrastare tale fenomeno inseguendo l’isoletta tropicale di turno significa fermare una valanga a mani nude. Se anche si chiude uno studio di consulenti ne spunta un altro, se convinci una giurisdizione a adottare leggi più stringenti un’altra offrirà normative ancora più compiacenti.

Spiega Giuseppe Marino, docente di Diritto tributario all’Università Statale e alla Bocconi di Milano, autore di Paradisi e paradossi fiscali (Egea): “John Kennedy è passato alla Storia anche per aver presentato nel 1962, su consiglio dell’economista Stanley Surrey, la Controlled foreign corporations legislation, una legge che prevedeva la tassazione dei profitti di società estere delle multinazionali americane. Resta quello il modello legislativo più adatto per combattere l’uso improprio dei paradisi fiscali. Ma in pochi, dopo Kenney, vi ci sono cimentati”.

Il mondo alla rovescia continua. La lotta ai paradisi fiscali può attendere.

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”

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