L’11 novembre 2011, poche settimane prima della rapina finita nel sangue a Torpignattara e della follia omicida di metà dicembre a Roma, il Parlamento ha cancellato il Catalogo nazionale delle armi comuni da sparo. La decisione non modifica la normativa per il porto, l’acquisto e la detenzione di armi, ma elimina la funzione preventiva e di controllo che il catalogo svolgeva sulla detenzione di armi da parte di privati. Questo conteneva infatti la descrizione dell’arma e del calibro, del produttore e del detentore, era aggiornato annualmente e poneva un discrimine preciso tra armi comuni e armi militari. Secondo alcuni il provvedimento, diventato esecutivo dal primo gennaio 2012, è un primo passo verso l’americanizzazione dell’Italia (leggi il post America: armi per tutti e stragi per tutti), con una liberalizzazione selvaggia ormai alle porte. È opinione comune (?) che l’articolo introdotto nella Legge di stabilità che ha rimosso con un colpo di penna l’articolo 7 della legge 18 aprile 1975 contenente le “norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi”, sia stato un regalo di Berlusconi alla Lega. Già il 27 luglio 2011, il leghista Federico Bricolo aveva cercato di infilare nel provvedimento sulle missioni all’estero un emendamento, poi ritirato, per cancellare il detestato catalogo. Contro quest’ultimo, da decenni, si batte la lobby – principalmente lombarda – dei produttori di armamenti. “La misura – scrive l’Anpam, Associazione nazionale produttori armi e munizioni, in riferimento all’abrogazione – avrà l’unico effetto di rimuovere un costo che gravava sui soli produttori italiani, particolarmente svantaggiati dalle lungaggini del procedimento di catalogazione per il lancio dei nuovi prodotti, ed è destinata a incrementare la competitività dell’Italia in un settore che, nonostante la crisi, rimane di eccellenza”. Un’esultanza prevista, quella dei produttori. Ne spiega il perché Carlo Tombola, coordinatore scientifico dell’Osservatorio permanente armi leggere: «Era da tempo che la lobby armiera puntava a modificare la legge. L’hanno ottenuto l’ultimo giorno del governo Berlusconi. Che cosa si rischia? Una diminuzione dei controlli tecnici delle armi in circolazione. Non lo dico io, ma funzionari di polizia ed ex magistrati come Felice Casson, che in Senato dichiarò che con questa spinta verso una deregolamentazione, e senza nuove forme di controllo, a essere favorita sarà anche la criminalità organizzata. Quando si portano in giro armi da guerra, si ha una disciplina giuridica completamente diversa rispetto al possesso di un fucile da caccia. Senza il catalogo sarà molto più difficile fare tale distinzione». Secondo il segretario dell’Associazione nazionale funzionari di polizia, Enzo Letizia, «è scandaloso che i lobbisti e gli affaristi del mondo delle armi abbiano approfittato del gravissimo momento di difficoltà del Paese per ottenere dal Parlamento in via speditiva ciò che il Parlamento aveva loro già negato. Gli italiani sanno bene che certi personaggi, collegati a politici della loro stessa risma, non si fanno scrupolo della sicurezza collettiva e dei costi di certe misure pur di continuare ad ingrassare i loro portafogli». Il settore delle armi leggere in Italia è assai fiorente: 2.264 imprese, 11.358 addetti, 612.408 armi, 902 milioni di munizioni. Le esportazioni, come descritto nel Rapporto dell’Archivio Disarmo, non conoscono crisi. Nel biennio 2009-2010 l’Italia ha esportato complessivamente oltre un miliardo di euro (1.024.275.398) in armi leggere a uso civile, precisamente 471.368.727 nel 2009 e 552.906.626 nel 2010, con un rilevante aumento di circa il 10 per cento rispetto al biennio precedente. In particolare, tra il 2009 e il 2010 la crescita si attesta attorno al 17 per cento. Altri dati, contenuti nel libro Armi da fuoco. Tendenze e contraddizioni italiane, scritto da Massimo Tettamanti per ScriptaWeb e pubblicato nell’agosto 2011, rendono noto, per la prima volta in maniera organica, il rovescio della medaglia. Trentaquattromila privati in Italia posseggono il porto d’armi. Le guardie giurate sono 50mila, i permessi per uso sportivo (tiro a volo o tiro a segno) 178mila, e circa 800mila sono i cacciatori con licenza per abilitazione all’esercizio venatorio. Non esistono dati precisi, se non per il 2008, per le armi regolarmente detenute, che con licenza di collezione possono arrivare fino a nove a testa. In quell’anno l’Eurispes stimava in dieci milioni le armi legali e 4,8 milioni le persone che detenevano un’arma da fuoco. Sempre secondo il libro di Tettamanti, il 43,2 per cento dei femminicidi è stato commesso con un fucile da caccia. L’unica statistica aggiornata del numero di omicidi commessi nel nostro Paese con arma da fuoco (con tanto di nome della vittima e località) risale al 2010, ed è stata pubblicata dal sito www.delittiimperfetti.com. Sono 222, il 44,6 per cento del totale. L’80,6 per cento è stato commesso con armi da fuoco non denunciate.
(Fonte E ilmensile)
Il traffico di Armi. Educare alla pace non deve essere una soluzione astratta al problema, ma deve trovare della finalità concrete in ognuno di noi: ogni uomo, donna, bambino deve trovare in sé la convinzione profonda che si può raggiungere l’equilibrio e l’ordine tra i vari Paesi anche senza l’uso della forza o delle armi.