Di gran lunga il più importante contributo dato dalle api è l’impollinazione. Cinquantadue delle 115 piante più coltivate dipendono dall’impollinazione delle api. Cinque di queste colture sono api-dipendenti e secondo un recente studio se ci fosse una riduzione di questi impollinatori avrebbero una riduzione della resa di circa il 90%. Inoltre, i rendimenti in termini di dimensioni, qualità e quantità dei prodotti (frutta) sarebbero fortemente ridotti (70-90%). In totale, il 22,6% di tutta la produzione agricola nei paesi in via di sviluppo ed il 14,7% della produzione agricola nel mondo sviluppato è direttamente dipendente dall’impollinazione delle api. A livello globale, il valore di impollinazione degli insetti è stato stimato in 212 miliardi dollari statunitensi (circa 150.000.000.000 €), che rappresenta circa il 9,5% del valore totale della produzione agricola. Tra il 1961 e il 2006, la dipendenza del settore agricolo dagli impollinatori è aumentato del 50% nei paesi sviluppati e del 62% nei paesi in via di sviluppo. Questa dipendenza è nettamente superiore all’aumento globale del numero di colonie d’api e suggerisce che in un futuro prossimo questi impollinatori possono limitare la produzione di colture impollinatore-dipendente. Il declino delle colonie o il lento incremento rispetto alle colture impollinatori-dipendenti potrebbero quindi avere gravi conseguenze sulla sicurezza alimentare mondiale, così come il recente aumento della domanda di mais per la produzione destinata esclusivamente all’etanolo ha avuto effetti significativi sui prezzi degli alimenti. Ad oggi il numero totale di colonie d’api in tutto il mondo è stimato in 72,6 milioni, cioè si è avuto un aumento del 64% del numero totale di colonie dal 1961. Di questo aumento non ne hanno beneficiato tutti, anzi le colonie sono diminuite in Europa (-26,5%) ed in Nord America (-49,5%), mentre gli aumenti sono stati registrati in Asia (426%), in Africa (130%), in Sud America (86%) ed in Oceania (39%). Diverse specie di api selvatiche si sono già estinte in molte regioni d’Europa e le popolazioni sopravvissute sono spesso nuove varietà inselvatichite. Le api devono difendersi da gravi problemi, dai pesticidi, agli acari e alle malattie, ai quali si aggiunge una struttura genetica indebolita. Un’indagine condotta dai membri dell’Associazione degli apicoltori britannici (BBKA) ha constatato che il numero di api domestiche è diminuito del 30 per cento. Ciò significa una perdita di oltre 2 miliardi di api che corrisponde ad un danno economico di circa 54 milioni di sterline. Tutto ciò dimostra che in generale la perdita di biodiversità non promuove lo sviluppo economico, ma al contrario lo compromette.
Non un solo fattore può spiegare tutte le perdite o gli aumenti in numero di colonie nel corso di un determinato periodo di tempo ma sicuramente tra i fattori da tenere in considerazione ci sono le malattie (per esempio la varroa), i parassiti, l’uso di pesticidi, l’ambiente ed i fattori socio-economici. In particolare, l’uso dei pesticidi in agricoltura moderna è una pratica ampiamente diffusa al fine di controllare le erbe infestanti, i funghi ed i parassiti artropodi e garantire rendimenti elevati. Le api sono frequentemente esposte a sostanze chimiche presenti nell’ambiente come conseguenza della loro attività di foraggiamento, tuttavia i danni da tossicità acuta non sono l’unica minaccia per le api. Gli effetti sub-letali come paralisi, disorientamento o cambiamenti comportamentali (apprendimento, comportamento, comunicazione), sia da esposizioni a breve termine sia a lungo termine, sono sempre più considerati dato che influenzano le diverse fasi di vita ed i diversi livelli organizzativi delle popolazioni di api. In un recente studio condotto negli Stati Uniti, è stato rilevato un numero considerevole di pesticidi in campioni di polline (108 campioni) e cera d’api (88 campioni). Inoltre, un nuovo fenomeno chiamato “polline sepolto”, è stato altamente associato ad un aumento della mortalità delle colonie; rispetto al polline normale, campioni di polline sepolto contengono livelli significativamente più alti di pesticidi, tra i quali gli acaricidi Coumaphos e Fluvalinato ed il fungicida Clorotalonil, rivelatisi altamente tossici.
Negli ultimi anni sono stati avviati diversi programmi nazionali di monitoraggio per le colonie di api. Uno dei più completi è il programma di monitoraggio “DEMIBO” (DEutsches BIenen MOnitoring), in cui dal 2005 circa 1200 colonie vengono continuamente seguite ed analizzate . La forza della colonia e lo stato di salute vengono regolarmente valutati, ed i campioni sono prelevati e controllati. Anche se laborioso e costoso, questo progetto si sta dimostrando utile in quanto genera dati affidabili e consente di creare relazioni tra i fattori di rischio e la morte delle colonie.
Per quanto riguarda la situazione italiana, e’ stato prorogato di pochi mesi, fino al 31 ottobre 2011, il divieto di utilizzo dei neonicotinoidi, gli antiparassitari che negli anni scorsi avevano causato una moria di api senza precedenti, come confermato da uno studio dell’Università di Padova appena pubblicato su Journal of Environmental Monitoring (guarda l’incredibile video a fine articolo). A questo punto però serve una risoluzione chiara e definitiva, che vieti per sempre l’impiego dei neonicotinoidi per la concia delle sementi del mais, visto l’ormai conclamato effetto negativo sulla salute delle api anche perché l’incidenza dei parassiti e delle patologie del mais nelle tre stagioni in cui era in vigore il divieto d’uso dei concianti sistemici è stata di poco conto. Il ripristino della rotazione e delle buone pratiche agronomiche uniti all’approccio di lotta integrata è da una tecnica oggi da perseguire visto l’ottimo effetto ed efficacia in questo periodo di “transizione” tra l’uso ed il non uso dei neonicotinoidi.
(Fonte Legambiente)