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Ambasciatori del privilegio

Vignetta Bertelli

Un mondo a parte che non soffre i segni del tempo e della crisi. Dove ancora si respira quel “gusto italiano che conquista i suoi ospiti”, come recitava lo spot anni Ottanta col maggiordomo Ambrogio in livrea, le limousine, champagne e cioccolatini nel sontuoso ricevimento dell’ambasciatore di turno. Trent’anni dopo il mondo è cambiato radicalmente, ma per pochi fortunati la festa sembra non finire mai. Per gli ambasciatori, ad esempio, che guadagnano più dei capi di Stato dei Paesi che li ospitano. E poi consoli, ministri plenipotenziari e segretari spesati di tutto punto, con l’immunnità diplomatica e pure quella di licenziamento. Attraverso mille pressioni politiche, infatti, il personale della carriera diplomatica ha passato indenne le stagioni dei tagli lineari, della spending review e del blocco delle assunzioni nel pubblico impiego. Anche solo rimuoverli – come dimostra il caso del console fasci-rock Vattani che ha appena vinto il ricorso contro il suo stesso Ministero – sembra impossibile. Niente da fare. Loro resistono e lottano, continuando a proiettare oltre confine quel gusto italiano di casta che non ha rivali al mondo.

Ambasciatori del privilegio, si potrebbe dire. La Farnesina dirà che non è vero, che anche loro hanno fatto sacrifici perché in pochi anni la dotazione del Mae è passata da 2,5 a 1,6 miliardi. A ben vedere, gli unici a pagare il prezzo del rigore sono stati i dipendenti del Ministero, ridotto in dieci anni di 1.500 unità (30%). E le “feluche”? A quanto pare nessuno le tocca: negli stessi anni sono calate di sole 69 unità, sempre per effetto di pensionamenti e spostamenti presso altri ministeri. Anche la spending review ha fatto loro un baffo. Un emendamento ad hoc alla legge di Stabilità ha fatto slittare il taglio del 20% al 31 dicembre. Mancano pochi giorni ma c’è chi scommette che non uno resterà indietro. Per contro, altri 35 “aspiranti” stanno per fare il loro debutto come segretari di legazione, l’entry level della categoria a 109mila euro lordi tra stipendio tabellare e retribuzione di posizione.

Così resteranno a lungo in servizio 901 diplomatici italiani:

31 ambasciatori, 210 ministri plenipotenziari, 357 consiglieri e 303 segretari. Un piccolo esercito che costa 184 milioni di euro l’anno. Non c’è da stupirsi: un ambasciatore italiano all’estero guadagna 380mila euro lordi l’anno tra indennità di servizio (esentasse) e stipendio metropolitano (tassato) cui vanno aggiunti il 20% di maggiorazione per il coniuge, il 5% per i figli, indennità di rappresentanza e sistemazione, contributo spese per residenza e personale domestico. Più premio di risultato variabile da 50 a 80mila euro. Chi sta a Parigi, a esempio, prende 320mila euro netti, 125 mila euro di oneri di rappresentanza, 64mila per la moglie e 16mila per il figlio. A Parigi ne abbiamo altri 3: all’Unesco, all’Osce e al Consiglio d’Europa. Poi ci sono il personale dirigente, gli insegnanti, gli esperti, i “lettori” inviati nel mondo – circa 2mila persone – mandati all’estero, sempre con stipendio metropolitano e indennità di sede. Una peculiarità italiana da tempo oggetto di discussione.

Il Mae, infatti, spedisce all’estero il 54% del personale e contratta in loco (a prezzi locali e senza l’indennità) solo il 46%. Gli altri paesi fanno il contrario, la percentuale di impiegati locali oscilla tra il 60 e l’82%. Ma a noi piace pagare di più, infatti solo di indennità di sede spendiamo 311 milioni l’anno (344 dal prossimo). Capita che in giro per il mondo mandiamo autisti pagati più dei loro passeggeri. Un privilegio mal tollerato all’estero. In India, a esempio, è in corso una rivolta del personale contrattato in loco per poche centinaia di dollari per fare le stesse cose di quello mandato dall’Italia pagato sei volte di più. Per intaccare i privilegi diplomatici servirebbe una volontà politica che nessuno sembra avere. E dunque si taglia la rete estera della rappresentanza. Il piano di razionalizzazione 2012 prevede la chiusura di 13 uffici consolari e quattro sportelli. Al momento sono in corso aste per diversi immobili. Patrimonio pubblico che se ne va. E pensare che basterebbe ridurre di qualche punto percentuale le indennità, per evitare il taglio alla nostra proiezione culturale e commerciale all’estero. Qualche parlamentare l’ha proposto, restando inascoltato.

Ma l’Italia che paga gli stipendi più alti preferisce farsi più piccola, purché nessuno se ne accorga.

(Fonte Thomas Mackinson – Il Fatto)


Ricchi e poveri. Un paese ricco, abitato da poveri: questa è l’Italia della crisi. Un paese che dispone di una ricchezza privata da novemila miliardi, quasi cinque volte il debito pubblico: ma il debito è di tutti, la ricchezza di pochi. I dieci italiani più ricchi possiedono quanto i tre milioni più poveri, i primi venti manager guadagnano quanto quattromila operai, mentre gli stipendi medi sono a un soffio dalla soglia di povertà e mettono a rischio la sopravvivenza anche dei fortunati che hanno ancora un lavoro.

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”

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