Oggi si celebra la Giornata internazionale per la riduzioni dei disastri, il tema del 2012 è “Donne e bambine: la forza Invisibile della resilienza”.
La giornata ha come obbiettivo ricordarci che cambiamenti climatici, urbanizzazione, povertà e degrado ambientale (cause principali dell’aumento del rischio di catastrofi naturali e dell’incidenza dei danni) possono in parte essere mitigate e si può intervenire prima che gli eventi naturali diventino catastrofi in termini di impatto sulle vite umane e sul territorio. Come ha ricordato Marco Bertotto, direttore di Agire (Agenzia italiana per la risposta alle emergenze), “Tutto ciò comporta non solo un risparmio importante di vite umane ma anche di risorse economiche”.
La nostra vulnerabilità ai disastri sta crescendo più rapidamente della resistenza. Ricordiamo lo tsunami nell’Oceano Indiano, l’uragano Katrina negli USA, i terremoti in Pakistan, Haiti e Cile, le inondazioni in Uganda, Cina e Pakistan hanno provocato immense sofferenze alle popolazioni e importanti danni materiali ed ambientali, che hanno contribuito ad evidenziare l’urgenza di investimenti nel campo della prevenzione e della mitigazione dei rischi.
Solo 2010, 373 disastri naturali hanno colpito più di 200 milioni di persone, ne hanno uccise quasi 270 mila e hanno provocato danni per un valore di circa 110 miliardi di dollari. Nel decennio 2000-2010, più di 1 milione di persone ha perso la vita a causa di disastri naturali.
Dal 1980 al 2010, il numero dei soli disastri connessi al clima è cresciuto in media del 4,1% all’anno. Nel 2011, questi disastri hanno ucciso 27 mila persone e sono costati 380 miliardi di dollari in perdite economiche. Il loro costo finanziario sta raddoppiando ogni 12 anni. E Agire stima che i disastri connessi al clima colpiranno nel 2015 ben 375 milioni di persone, il 43% in più del 2010. Dal 1981, anche nei paesi Osce i danni economici provocati dai disastri stanno crescendo più rapidamente del Pil pro capite. Ciò significa che il rischio di perdere la ricchezza in condizioni di disastri è ora superiore alla velocità con cui la ricchezza stessa si sta creando.
L’Organizzazione metereologica mondiale ha evidenziato come per ogni dollaro investito nella prevenzione se ne potrebbero risparmiare circa 7 in assistenza umanitaria e ricostruzione. Nonostante questo ad oggi sui primi 40 paesi beneficiari di assistenza umanitaria, solamente l’1% degli aiuti viene destinato alla riduzione dei rischi da disastro. Anche l’Italia nel suo piccolo ha pagato un forte tributo in termini di perdita di vite umane e danni ambientali dovuti ad eventi estremi il cui effetto “a terra” cresce esponenzialmente a causa dell’incuria del territorio sempre più invaso dal cemento.
Ma nonostante questo i finanziamenti degli interventi di prevenzione sono visti come una spesa e non come un investimento per il futuro, capace tra l’altro di dare oggi buoni posti di lavoro e muovere l’economia nella direzione green. Nel 2005 la Piattaforma Globale per la Riduzione del Rischio, creata durante la conferenza di Hyogo, ha proposto un piano decennale per rafforzare la resilienza di città, comunità e nazioni, riducendo in modo significativo le conseguenze dei disastri. Nel 2009, tra le varie misure adottate, i rappresentanti della Piattaforma hanno lanciato un appello per destinare il 10% degli aiuti umanitari a programmi di Disaster Risk Reduction.
“Un obiettivo che purtroppo resta assai distante dalla realtà, soprattutto in Italia” ha aggiunto Bertotto di Agire.
Il messaggio è molto chiaro. La riduzione del rischio di disastri dovrebbe essere un interesse quotidiano per tutti. Ma come al solito così non sembra, sopratutto in Italia sempre abituati a piangere dopo che la frittata è fatta. È impossibile investire oggi per un futuro più sicuro?