Il volume d’affari complessivo annuale dell’agromafia è salito a 16 miliardi di euro, in netta controtendenza rispetto alla fase recessiva del Paese perché la criminalità organizzata trova terreno fertile proprio nel tessuto economico indebolito dalla crisi. Almeno un miliardo e mezzo di euro transitano sotto forma di investimento dall’economia sana a quella illegale, ovvero circa 120 milioni di euro al mese, 4 milioni di euro al giorno.
È quanto ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo all’’Incontro su “L’altro cibo: quello con la vitamina “l” come “legalità” del ciclo #FoodFactor, all’interno del Taobuk- Taormina International Book Festival al quale ha partecipato anche Giancarlo Caselli, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio Agromafie promosso dalla Coldiretti.
Gli aspetti patologici dell’indotto agroalimentare, come la lievitazione dei prezzi di frutta e verdura fino a 4 volte nella filiera che va dal produttore al consumatore, sono la conseguenza non solo dell’effetto dei monopoli, ma anche delle distorsioni e speculazioni dovute alle infiltrazioni della malavita nelle attività di intermediazione e trasporto, secondo l’analisi della Direzione Investigativa Antimafia.
“Per raggiungere l’obiettivo criminale”, ha sottolineato Moncalvo, “i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni ma con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione impongono anche la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente”.
Ogni genere di esercizio ristorativo, dalle trattorie alle pizzerie, dai bar alle gelaterie, è divenuto, infatti, potenziale obiettivo della criminalità, che si è appropriata di attività in difficoltà scalzando gli imprenditori onesti. Una volta entrati, questi soggetti finiscono spesso per fagocitare l’azienda. Attività “pulite” che si affiancano a quelle “sporche”, avvalendosi degli introiti delle seconde, assicurandosi così la possibilità di sopravvivere anche agli incerti del mercato ed alle congiunture economiche sfavorevoli, ma anche di contare su un vantaggio rispetto alla concorrenza e di espandere gli affari. Questi investimenti sono anche un’ottima opportunità di riciclaggio di denaro: i locali diventano vere e proprie lavanderie dei proventi “sporchi” del traffico di stupefacenti, dell’estorsione, della contraffazione. Si stima che siano almeno 5.000 i locali nelle mani della criminalità organizzata nel nostro Paese.
Nel solo 2015 sono stati chiuse dai Nas 1.035 strutture operanti nel sistema agroalimentare con il sequestro di 25,2 milioni di prodotti alimentari adulterati, contraffatti, senza le adeguate garanzie qualitative o sanitarie o carenze nell’etichettatura e nella rintracciabilità.
“Appropriandosi di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggono la concorrenza e il libero mercato legale e soffocano l’imprenditoria onesta, ma”, ha continuato Moncalvo, “compromettono anche in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti mettendo in pericolo la salute dei consumatori. Particolarmente fiorente è l’attività rivolta a spacciare per Made in Italy prodotti importanti dall’estero, dall’olio di oliva ai pomodori fino ai limoni con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani. Una attività favorita dalla mancanza di trasparenza sui flussi delle importazioni con il segreto sui nominativi delle aziende che importano e dal mancato obbligo di indicare in etichetta la provenienza della materia prima impiegata per tutti gli alimenti”.
Ci sono poi le insidie e le incognite legate ai siti di e-commerce aperti da piccole aziende o da aziende poco trasparenti, che facilmente sfuggono alla rete dei controlli nel mare sconfinato che Internet ormai rappresenta. Quasi un italiano su quattro (19,3%) acquista prodotti alimentari online, con un dato più che raddoppiato rispetto al 2015 (6,1%), segno che il mercato sta prendendo piede velocemente anche in Italia. Acquistando beni alimentari online il rischio maggiore è quello di incorrere in prodotti di bassa qualità.
“L’innovazione tecnologica e i nuovi sistemi di produzione e distribuzione globali come il commercio elettronico”, ha concluso Moncalvo, “rendono ancora più diffuse le frodi agroalimentari che per questo vanno perseguite con un sistema punitivo più adeguato come opportunamente previsto dalla proposta di riforma delle norme a tutela dei prodotti alimentari, presentata al Ministro della Giustizia Andrea Orlando dalla Commissione per l’elaborazione di proposte di intervento sulla riforma dei reati in materia agroalimentare presieduta da Giancarlo Caselli”.