Viviamo in un mondo di carta. Un’esistenza priva di essa sarebbe inimmaginabile, o quasi. Certo, possiamo comunque provarci, poiché grandi scrittori, artisti e musicisti ci hanno insegnato a farlo con i loro libri, i loro quadri e la loro musica: e tutto questo solo grazie alla carta. Di conseguenza, è facile immaginare come staremmo senza: saremmo come morti, o non saremmo mai nati. Per l’importanza che riveste nella vita di tutti i giorni, la carta è un manufatto che ha una storia immensa ed è il più importante tra i materiali creati dall’uomo.
Utilizziamo la carta da circa duemila anni, e l’impiegato occidentale medio ne consuma attualmente più di diecimila fogli l’anno. È economica, leggera e durevole, può essere piegata, tagliata, accartocciata, deformata, laccata, tessuta e impermeabilizzata: può essere utilizzata in qualunque modo per qualunque scopo. Con la carta puoi farci di tutto: imbarcazioni, vestiti, arredamento, case, armi, giocattoli, bambole, puzzle…etc etc.
Ciò che in principio, in Cina, era considerata merce rara e preziosa, ha finito per diffondersi sempre più, come un segnale d’allarme o un’epidemia, un sogno e un’illusione, fino al diciannovesimo secolo, quando le cartiere hanno rimpiazzato la produzione artigianale: da quel momento in poi, il tempo ha cominciato a correre e ha avuto inizio la stupefacente era della carta.
Eppure, come non smettono di farci notare, stiamo entrando in un’epoca post-cartacea, quantomeno in molti campi. Ovunque ci volgiamo, sembra che la carta stia scomparendo. Ma nonostante ciò, allo stesso tempo, la carta continua a moltiplicarsi: vengono stampati sempre più libri, i baristi ci servono sempre più caffè in bicchierini di carta, sempre più scrivanie sono puntualmente equipaggiate con una stampante. E ci s’interroga senza sosta: questa è davvero la fine del libro?
Probabilmente il certificato di morte della carta è stato compilato con eccessiva frenesia. Come il filosofo e gran consumatore di carta Jacques Derrida ha fatto notare, “Dire addio alla carta oggi sarebbe come decidere, un bel giorno, di smettere di parlare perché ormai si è imparato a scrivere”.
La carta è anche una metafora perfetta per descrivere il linguaggio: come fa notare Saussure nel suo Corso di linguistica generale, “Il linguaggio può essere paragonato a un foglio di carta: il pensiero è la parte anteriore, il suono quella posteriore. Non si può tagliare l’una senza tagliare anche l’altra: allo stesso modo, nel linguaggio, non si può separare il pensiero dal suono e il suono dal pensiero. Una scissione del genere si può compiere solo in astratto, e il risultato sarebbe pura psicologia contrapposta a pura fonologia”.
Fondamentalmente, siamo integralisti e fanatici di questo materiale: anche quando non c’è, anche quando ci è stato ormai dimostrato che non è più necessario, continuiamo a immaginarcelo, a onorarlo e a desiderare che continui a esistere. Sembra proprio che non siamo in grado di astrarre (o estrarre) la carta dai nostri pensieri né i nostri pensieri dalla carta: noi cambiamo, intorno a noi cambia il mondo, ma la carta resta. L’iPad somiglia a un taccuino, il Kindle a un libro e l’iPhone a un’agendina. Anche questo Blog assomiglia a un diario giornaliero. Tutti gli avvenimenti più importanti della nostra vita hanno a che fare con la carta. Senza di essa, non esistiamo.
La carta è tutto e niente, è l’uovo di Colombo: un oggetto che in qualche modo riesce, quasi per magia, a darci accesso al nostro io; un sentiero che ci conduce dalla superficie delle cose verso mondi immaginari e sempre più profondi. La magia più potente di cui questo materiale è capace? Molto semplicemente, la carta ci consente di esserci, o di far sembrare che ci siamo, quando in realtà non è così: può dissolvere i confini dello spazio e del tempo.
Nel suo romanzo Caduta libera del 1959, il Premio Nobel per la letteratura William Golding scrive: “Creo segni, quindi esisto. Sono a 46 centimetri di distanza dai neri caratteri che state leggendo, sono qui dove siete anche voi, prigioniero in questa scatola di carne e ossa mentre provo a incatenarmi al foglio bianco. I caratteri, come ingranaggi, mi uniscono a voi, eppure, a dispetto della passione che ci unisce, ecco che non condividiamo altro che il senso della nostra separazione”. Ora ci sono, ora non più.
Pensate a tutto questo, immaginate per un secondo che non esistesse più. Perderemmo qualcosa? Be’, sì: perderemmo tutto.