Questo testo è uno stralcio tratto dalla introduzione inedita del libro “Non lavate questo sangue”, edito per la prima volta nel 2001 e che Einaudi Stile Libero ha appena ripubblicato.
“Il 20 luglio 2001 ero in piazza Alimonda, a Genova, il 21 luglio ero davanti ai cancelli e poi dentro la Diaz, la notte. Da fuori quella scuola sembrava una vecchia scuola da libro Cuore, quadrata, tre scalini per entrare e il giardino intorno, la cancellata verde: c’è da qualche parte nella memoria di tutti una scuola così. Il Comune di Genova l’aveva data come dormitorio, c’erano ragazzi del Social Forum.
Quella notte tutto cominciò alle undici. Arrivò la polizia, arrivarono i carabinieri, la Celere di Roma, i reparti antisommossa, quelli che si occupano delle rivolte nelle carceri. Le squadre mobili di varie città, agenti di Genova, Bologna, Firenze. Il capo dell’Antiterrorismo, il capo dello Sco, Servizio centrale operativo di polizia. Dall’altra parte c’erano i ragazzi. Dormivano, o si preparavano a farlo. Due ore dopo sono usciti in barella, con le teste spaccate, i polmoni perforati dalle costole, le milze spappolate, i denti saltati per sempre insieme al sonno. Era l’ultimo sonno della vigilia. La mattina successiva sarebbero tornati a casa.
Il mondo è cambiato per sempre, allora, e nel mio piccolo anche io. È cambiata – per tutti e per me – la prospettiva, il modo di leggere le cose, la fiducia negli uomini, la paura e la prudenza, l’intenzione. È cambiato il modo in cui guardo le persone attorno a me, quelle che amo e quelle che disistimo. Una diversa distanza. Come essere in un altro posto. Più lontano, e dolorosamente più vicino.
Ho testimoniato al processo – interminabile, cupo, inutile – sulle violenze commesse dalle forze dell’ordine su mandato dei loro superiori e dei loro referenti politici. In particolare sul ruolo dell’allora capo della polizia, Gianni De Gennaro. Ho detto in aula quello che avevo visto e sentito la notte della Diaz. Mi sono chiesta, ora che sono passati quindici anni, se valga la pena ripetere, spiegare, aggiungere detto al non ancora detto abbastanza. Alla fine non credo.
Per anni diverse generazioni di studenti, nei licei, hanno dedicato le loro assemblee ai fatti di Genova. Ancora oggi vado da loro, quando mi chiamano. Ragazzi che nel 2001 avevano un anno e imparavano a camminare barcollando sanno tutto, a volte più di me, delle carte dei processi. Ho seguito non so più quante tesine, lavori di gruppo, documentari scolastici. Non c’è un avvenimento dei nostri anni recenti che susciti l’attenzione e l’emozione degli adolescenti quanto il G8 di Genova. Proteine, lavoro di muratura di ricordi chiamati in prestito.
Gli autori delle violenze e i loro mandanti sono stati promossi, oppure lautamente prepensionati, o sono morti. Condannati solo gli ultimi, pochi. I leader politici dell’epoca hanno governato ancora a lungo. È chiaro a tutti, ormai, che le violenze della Diaz e di Bolzaneto erano preordinate, seguivano una regia e un copione preciso. Avevano uno scopo. Ma non c’è tesi altrettanto forte del semplice racconto – a momenti incredulo – dei fatti.
Giorgio Bocca, quando lesse il mio diario dei giorni di Genova, mi disse e scrisse: come potevano controllare chiunque entrasse in città e non aver controllato i black bloc? Per esempio. Una piccola cosa, decisiva. Come poteva quell’impressionante militarizzazione di un luogo deserto non filtrare chi arrivava non identificato, armato, animato dalle peggiori intenzioni? Chi erano, i corvi neri che hanno scatenato la sequenza di azioni e reazioni arrivata fino allo sparo che ha ucciso Carlo Giuliani in piazza Alimonda? Potete leggere tutte le migliaia e migliaia di carte dei processi, ma la risposta a questa semplicissima domanda non la troverete. E le biglie all’acido, e il sangue infetto dal quale gli agenti di polizia erano stati addestrati a difendersi e di cui parlano incessantemente, in queste pagine? Neppure di quello c’è traccia, nelle carte.
Allora ecco. Ora che il tempo, se esiste, mette in fila e in prospettiva le cose è più facile vedere la filigrana dei gesti. Il disegno. Il ruolo della politica, degli uomini che allora incarnavano le istituzioni. Molti di loro sono ancora qui. Genova è ancora qui. Il mondo – il nostro mondo – è cambiato per sempre nel 2001, fra luglio e settembre.
Qualcuno non c’è più, ma fra quelli che ci sono molti ne portano vive le responsabilità. Non sarà un giudizio, un commento, un’opinione a dimostrarne le colpe. Non sono bastati in quindici anni i processi. Saranno i fatti, sono i fatti a parlare per sempre. La semplice descrizione dei fatti. Come disse un medico che quella notte era in servizio alla Diaz: “Per la prima volta in vita mia ho avuto paura che non mi credessero. Non mi era mai successo di vedere una scena come quella, starci in mezzo, viverla, poi tornare a casa, svegliarmi la mattina e avere la sensazione di non essere creduto. E spaventoso, davvero”. Concita De Gregorio, la Repubblica, giovedì 21 luglio 2016